La marcia su Roma
Tra il 27 e il 31 ottobre 1922, la "rivoluzione fascista" ha il suo culmine con la "marcia su Roma", opera di gruppi di camicie nere provenienti da diverse zone d'Italia e guidate dai "quadrumviri" (Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi). Il loro numero non è mai stato stabilito con certezza; tuttavia, a seconda della fonte di riferimento, la cifra considerata oscilla tra le 30.000 e le 300.000 persone.
Mussolini non prende parte direttamente alla marcia. La decisione è stata attribuita al timore di un intervento repressivo dell'esercito, che ne avrebbe determinato l'insuccesso. Rimane a Milano (dove una telefonata del prefetto lo avrebbe informato dell'esito positivo) in attesa di sviluppi e si reca a Roma solo in seguito, quando viene a sapere del buon esito dell'azione. A Milano, la sera del 26 ottobre, Mussolini ostenta tranquillità nei confronti dell'opinione pubblica assistendo al Cigno di Molnár al Teatro Manzoni. In quei giorni, stava in realtà trattando direttamente col governo di Roma sulle concessioni che questo era disposto a fare al Fascismo ed il futuro duce nutriva incertezza sul risultato che la manovra avrebbe avuto.
Il Re, per l'opposizione di Mussolini a qualsiasi compromesso (il 28 ottobre rifiuta il Ministero degli Esteri) e per il sostegno di cui il fascismo gode presso gli alti ufficiali e gli industriali, che vedevano in Mussolini l'uomo forte che poteva riportare ordine nel paese "normalizzando" la situazione sociale italiana, non proclama lo Stato d'assedio proposto dal presidente del Consiglio Luigi Facta e dal generale Pietro Badoglio e dà invece l'incarico a Mussolini di formare un nuovo governo di coalizione (29 ottobre).
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